sabato pian piano se ne va, e nel bosco ho scorto le prime Genziane.
...continua ... pag 69.
Ma volevo dire ancora due parole sull’amore: non ho mai amato i
paragoni, questi ultimi fanno scaturire
ansia e rancore, innescano, nelle persone, il meccanismo perverso della guerra
per il primato. Come si possono fare paragoni tra noi, quando ogni singola
persona è unica?
E
peggio ancora non vorrei più sentir dire con voce infantile: “Vuoi più bene al
papà o alla mamma?“. Domande stupide ed insensate. Tra le poche a cui non
bisognerebbe neanche rispondere. Meriterebbero solo silenzio e sguardi impietosi
di biasimo nei confronti di chi le ha formulate.
Ma i bambini son bambini, e piccoli, non conoscono la malizia degli
adulti, di conseguenza rispondono, e messi alla stregua di una domanda di cui
non conoscono risposta, dichiarano automaticamente il nome della persona che
hanno davanti e che gliel’ha formulata. Così facendo accontentano l’adulto di
turno, che si asseconda davanti al bambino. Ma questa persona mai avrebbe fatto
questa domanda se si fosse rammentato, semmai lo sapesse, che ognuno di noi, è
una persona unica, e così ognuno di noi ha un ruolo unico. Per cui unico sarà
il ruolo di madre, così come di padre, e di conseguenza di figlio, che va amato
e rispettato.
E con questa sensibilità e personalità, legati insieme, ringrazio, (così
come spero faranno i miei figli con me) ignudo: i miei genitori, creatori prima
e guardiani poi dei loro figli. Rigidi e seri educatori, ma senza mai usare
“catene” o “guinzagli” per indirizzarmi, ma sempre con parole ed esempi.
Proprio loro, mio padre e mia madre, che ancora oggi ho attorno, e che vedo. Ma
che di certo vedrò anche quando non saranno più con me sulla terra; i miei
due fratelli, che, con me, dagli stessi
genitori e dalla stessa natura hanno imparato a vivere, ed il rispetto del
prossimo, utilizzando lo stesso filo conduttore. Seppur un po’ lontani
fisicamente li sento vicini. Sono nel mio zaino, tra le cose indispensabili. E
ancora questi figli, fenomeno della natura, che con l’incoscienza a cavallo di
un alito di vento caldo, che fa volare gli aquiloni, sono atterrati nella mia
vita. Ho imparato a masticare la dedizione ed il coraggio, assieme alla
disperazione ed i pugni contro il muro, mescolati a lacrime furtive di gioia e
soddisfazione per i loro successi, per la loro irrefrenabile ed incontenibile
crescita. Interminabili notti a dormire con un occhio aperto e le scarpe ai
piedi, e giorni interi e settimane e mesi a camminare con una sola gamba, ma con
il passo, comunque, certo e sicuro, e l’unico occhio aperto a dar il cambio e far riposare quello della
notte, puntato verso la meta.
Oggi il passato burrascoso di genitore poco per volta mi sta ripagando.
A piccole gocce la lunga semina incomincia a dare i suoi succulenti frutti. E’
valsa la pena attendere. E questo grazie anche a loro.
E c’è ancora tanta strada da fare. Ma
per fortuna lo zaino è ora anche pieno di esperienza, che dà coraggio e forza.
Ma faccio un appunto che mi preme e che riguarda l’argomento. E potrà
sembrare d’attualità, ma non lo è di certo. Che dire di quelle madri che
uccidono i figli e quei figli che uccidono i genitori?
E’ successo fin dai tempi antichi e si conoscono
fatti simili fin da quando le cronache del momento son documentate. Per cui la
storia ce lo insegna, anzi ce lo ricorda. Ma non mi sembra che lo faccia con
clamore spropositato da stadio o spettacolarità tipicamente televisive,
assecondandola con copiosità di particolari scabrosi e a volte inventati.
Belle ed intelligenti croniste del
momento, ed inviati con un sorrisino a mo’ di ghigno stampato in faccia per
l’evento, frugano con domande violente e telecamere sempre più piccole ma
penetranti, in scene riservate ed intime. In animi esacerbati, sconvolti e ignari del valore
delle parole di risposta che d’istinto diranno, e che verranno manipolate e
ritorte con la sapienza di un abile artigiano.
Soprusi inauditi senza utilizzo, se non per
saziare e traviare le menti stupide e vuote d’altro di certe persone, e non son
poche, che godono a veder gli altri soffrire. E si divertono a giudicare fatti
e situazioni di cui non conoscono spesso assolutamente niente, al di fuori del
titolo in grassetto in prima pagina del quotidiano di turno letto al bar, con
un caffè d’orzo lungo in tazza grande e la sigaretta spenta, già pronta tra le
dita per il dopo caffè.
...continua...
Nessun commento:
Posta un commento