martedì 24 aprile 2012

LA MISERIA DELLA RICCHEZZA DEL NON AVER NIENTE DA FARE...


martedi  
 E un'altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per chè motivo, forse perchè son vivo ... F.Guccini   ...pagina 73, continua....

La miseria della ricchezza del non aver nient’altro da fare!
    Ho imparato, anzi sto imparando. E me ne vanto a non farmi nè avvocato nè tanto meno giudice di niente e di nessuno. E dovrebbero farlo tutti.
Silenzio!  Un po’ di silenzio  gioverebbe a chi è colpito dalla disgrazia, lo aiuterebbe a riflettere con serenità e oculatezza, senza essere sobillato da giornali, giornalisti ed affini.
    Ma torniamo a noi, e torniamo ai figli, i nostri figli, giustificato motivo di orgoglio. Gli ultimi dieci anni son stati densi, profondi, lenti e  meditabondi. Ma anche veloci e ricchi di successi, i miei successi. E non parlo di coppe, trofei e riconoscimenti, o articoli sui giornali nella pagina Cultura e Spettacoli. Ma di ogni mia piccola  speranza realizzata, ogni mio sogno realmente vissuto ad occhi aperti.
Che periodo spettacolare. Crescita e sicurezza,  conquistata a calci in culo, e conseguente rinculo. Un affinarsi di personalità ed indipendenza.
    Forme e volumi pensati e studiati, si sono realizzati nella scultura così come nella vita. D’un fiato. Come una matita 3B Staedtler che disegna un lungo segno con la massima attenzione, come fosse, e lo è, il disegno della propria  vita e, soprattutto, senza mai staccarsi dal foglio.
    Oggi mi fermo e guardo indietro. Mi dà soddisfazione e mi gratifica vedere da dove son partito, e vedere quanta strada ho fatto. E’ un esercizio che dovrebbero far tutti, perché è rigenerante, ed io non perdo occasione di insegnarlo o ricordarlo alle persone che incontro.
    Il passato utile per il presente. Un passato non privo di difficoltà ed insuccessi, anzi. Ma ripeto: utile per il presente.
Chi mi conosce sa che non vivo di ricordi e passato. Ma un passato da ricordare certamente perché poi serve per il futuro. E per me, tutto ciò non è poco. Oltretutto perché nel passato ci son scritte le regole che mi ha portato la mia libertà. Quella dell’essere e del fare.
Dieci anni densi di scultura e vita, di persone ricercate e solitudine. Dieci anni, esposto al più bel sole della vita, in compagnia di una Donna con l’iniziale maiuscola, anzi tutta in maiuscolo, che il destino mi ha fatto incontrare per camminare e viaggiare insieme, in silenzio senza sprecar fiato a dirsi cose già dette.
Insieme ai Boschi ed alla Natura. Lei mi ha insegnato (senza aggiungere parole inutili) e regalato la libertà d’essere l’unico MaxSolinas in questa terra, rinsaldando, e fortificando ciò che sedimentava.
 Anche lei in qualche modo  mi ha lasciato crescere come volevo e come avevo scritto tanti anni fa, nel diario dei miei desideri segreti. Ed è certo che essere circondato da poche persone, ma di questo calibro, è un tesoro!   
                                          


                                              Grazie a tutti.

sabato 21 aprile 2012

Ancora due parole sull'amore ....


    sabato pian piano se ne va, e nel bosco ho scorto le prime Genziane.

...continua ... pag 69. 
Ma volevo dire ancora due parole sull’amore: non ho mai amato i paragoni, questi ultimi fanno  scaturire ansia e rancore, innescano, nelle persone, il meccanismo perverso della guerra per il primato. Come si possono fare paragoni tra noi, quando ogni singola persona è unica?
 E peggio ancora non vorrei più sentir dire con voce infantile: “Vuoi più bene al papà o alla mamma?“. Domande stupide ed insensate. Tra le poche a cui non bisognerebbe neanche rispondere. Meriterebbero solo silenzio e sguardi impietosi di biasimo nei confronti di chi le ha formulate.
Ma i bambini son bambini, e  piccoli, non conoscono la malizia degli adulti, di conseguenza rispondono, e messi alla stregua di una domanda di cui non conoscono risposta, dichiarano automaticamente il nome della persona che hanno davanti e che gliel’ha formulata. Così facendo accontentano l’adulto di turno, che si asseconda davanti al bambino. Ma questa persona mai avrebbe fatto questa domanda se si fosse rammentato, semmai lo sapesse, che ognuno di noi, è una persona unica, e così ognuno di noi ha un ruolo unico. Per cui unico sarà il ruolo di madre, così come di padre, e di conseguenza di figlio, che va amato e rispettato.
    E con questa sensibilità e personalità, legati insieme, ringrazio, (così come spero faranno i miei figli con me) ignudo: i miei genitori, creatori prima e guardiani poi dei loro figli. Rigidi e seri educatori, ma senza mai usare “catene” o “guinzagli” per indirizzarmi, ma sempre con parole ed esempi. Proprio loro, mio padre e mia madre, che ancora oggi ho attorno, e che vedo. Ma che di certo vedrò anche quando non saranno più con me sulla terra; i miei due  fratelli, che, con me, dagli stessi genitori e dalla stessa natura hanno imparato a vivere, ed il rispetto del prossimo, utilizzando lo stesso filo conduttore. Seppur un po’ lontani fisicamente li sento vicini. Sono nel mio zaino, tra le cose indispensabili. E ancora questi figli, fenomeno della natura, che con l’incoscienza a cavallo di un alito di vento caldo, che fa volare gli aquiloni, sono atterrati nella mia vita. Ho imparato a masticare la dedizione ed il coraggio, assieme alla disperazione ed i pugni contro il muro, mescolati a lacrime furtive di gioia e soddisfazione per i loro successi, per la loro irrefrenabile ed incontenibile crescita. Interminabili notti a dormire con un occhio aperto e le scarpe ai piedi, e giorni interi e settimane e mesi a camminare con una sola gamba, ma con il passo, comunque, certo e sicuro, e l’unico occhio aperto  a dar il cambio e far riposare quello della notte, puntato verso la meta.
    Oggi il passato burrascoso di genitore poco per volta mi sta ripagando. A piccole gocce la lunga semina incomincia a dare i suoi succulenti frutti. E’ valsa la pena attendere. E questo grazie anche a loro.
E c’è ancora tanta strada da fare. Ma per fortuna lo zaino è ora anche pieno di esperienza, che dà coraggio e forza.
    Ma faccio un appunto che mi preme e che riguarda l’argomento. E potrà sembrare d’attualità, ma non lo è di certo. Che dire di quelle madri che uccidono i figli e quei figli che uccidono i genitori?
E’ successo fin dai tempi antichi e si conoscono fatti simili fin da quando le cronache del momento son documentate. Per cui la storia ce lo insegna, anzi ce lo ricorda. Ma non mi sembra che lo faccia con clamore spropositato da stadio o spettacolarità tipicamente televisive, assecondandola con copiosità di particolari scabrosi e a volte inventati.
Belle ed intelligenti croniste del momento, ed inviati con un sorrisino a mo’ di ghigno stampato in faccia per l’evento, frugano con domande violente e telecamere sempre più piccole ma penetranti, in scene riservate ed intime. In animi  esacerbati, sconvolti e ignari del valore delle parole di risposta che d’istinto diranno, e che verranno manipolate e ritorte con la sapienza di un abile artigiano.
 Soprusi inauditi senza utilizzo, se non per saziare e traviare le menti stupide e vuote d’altro di certe persone, e non son poche, che godono a veder gli altri soffrire. E si divertono a giudicare fatti e situazioni di cui non conoscono spesso assolutamente niente, al di fuori del titolo in grassetto in prima pagina del quotidiano di turno letto al bar, con un caffè d’orzo lungo in tazza grande e la sigaretta spenta, già pronta tra le dita per il dopo caffè.
 ...continua...

mercoledì 18 aprile 2012

OGGI MI SENTO COME UN CAVALLO ....

    Oggi mi sento come un cavallo che, scaricato con una sgroppata il cavaliere, svagato e rilassato trotta a testa alta libero, mentre gli altri suoi simili galoppano spronati da se stessi fin a farsi scoppiare il cuore, verso un traguardo insignificante alla ricerca di un successo che li premierà con una coccarda! Al  trotto libero e leggero mi avvio alla ricerca di quella parte di MaxSolinas che mi aspetta nel bosco per ricongiungersi.
  giovedi 19 ...continua...


       Ma non deve essere uno sforzo comportarsi bene. Deve diventare un’abitudine, uno stile di vita. La vita come una preghiera.
    La vita come nostro indelebile segno di Fede. Ognuno se la scelga la propria strada. Diversa per un qualcosa di piccolo, ma individuale, personale.
    E’ un nostro dovere. Non pretendo che i miei figli girino con uno zaino in spalla con poche cose utili e molte immondizie.
    Ci mancherebbe altro. Anzi mi preoccuperebbe, anche perché mal sopporto gli emulatori. Ma mi piacerebbe, anzi mi piace, vederli scartare una caramella e senza pensarci infilare la carta in tasca.
   O magari trovarmele sotto il sedile dell’auto: buon segno, vuol dire che non l’hanno buttato dal finestrino.
   Una a diciassette anni, e l’altro più di diciotto, e non mi meraviglia nel vederli sorpresi nell’osservare certe persone comportarsi in modi che neanche io condivido. Che soddisfazione! Tutto sta funzionando. Ma certo che loro sono loro. I figli sono i figli, non sono i nostri figli.
    E non sono e non devono avere altri ruoli. Vivono in confronti e relazioni diverse dalle nostre. Stesso mondo, pochi anni di differenza, generazioni  diverse, diverse rotte.
     Noi genitori camminiamo con scarpe e per sentieri diversi. La nostra vita, le nostre battaglie hanno già avuto dei risultati. E qualcosa ci hanno insegnato, nel bene o nel male, ce l’hanno detto.
     Esperienza buona, tesori per il nostro futuro. E’ come un contadino che ha alle spalle anni ed anni di semine e di raccolti, che gli hanno insegnato come è meglio fare. Loro, invece, non hanno dei risultati, perché hanno seminato solo per una, al massimo due volte, ed in pochissimi fronti. Sono al primo svolgimento. 
    E le risposte, il raccolto è ancora insufficiente,  inconsistente. Non hanno, in sostanza, un’esperienza propria e concreta. 
    Solo per questo ci guardano, perché cercano una mano, una guida, un aiuto, un maestro discreto e rispettoso da seguire, ancora per un po’.
     Come gli aquilotti pronti per  il volo non si sporgerebbero mai dal rassicurante nido in alto sulle rocce. Guardano la madre, maestosa e saggiamente impavida, e si fidano ciecamente  di lei, al punto, ad un certo preciso momento, apparentemente in una giornata uguale alle altre,  di saltare dal nido nel  buio dell’abisso. Seguono la madre passo per passo, non perdendola mai di vista, imitandola in tutto.
    Ma un dato giorno abbandoneranno il nido senza guardarsi indietro, voleranno in ripetuti ed entusiasmanti tuffi nel blu,  per i loro cieli, con la loro vita, tenendo la madre solo, ma per sempre, nel sangue.
      Preziosa e determinante sarà stata l’esperienza che gli ha proferito nei primi istanti di vita, fino al primo volo.
    Ecco la Natura. Ecco i nostri figli. E sono già un po’ saggi, perché spesso ci guardano, quando noi non li guardiamo. Ed è anche per questo che abbiamo il dovere morale di comportarci bene, sempre.
     Sia quando siamo soli, che quando siamo in gruppo. Deve diventare un‘abitudine, comportarsi bene. Fino ad un certo punto, loro ci imiteranno. Poi si staccheranno, diventeranno autonomi, e spero, anzi ne son sicuro, saranno migliori di noi.
    Certi salteranno dal nido presto, senza esitazioni. A qualcuno invece servirà un po’ più di tempo, ma basterà dargli fiducia, aiutarli, spingerli e dargli una pacca sulla spalla tutti i giorni. Fin quando la pacca sulla spalla se la daranno da soli  tutte le mattine, e così voleranno.


                                            Buona Vita MaxSolinas
MaxSolinas-Figli



lunedì 16 aprile 2012

FINALMENTE SOLE! CALDO E SORRIDENTE COME UN BIMBO DAVANTI AD UNA GIOSTRA.

martedi 17. FINALMENTE SOLE! Sole che ride come un bambino davanti ad una giostra in attesa del suo turno.
  Ne ancora le sette. la casa è ancora in ombra, e metà prato rorido di umidità è verde come l'erba scozzese del mio amico Oakes. L'altra metà del prato è già baciata dai raggi tiepidi, rossi come il fuoco. E lì, in mezzo il mio laboratorio di legno, per il legno! Non resisto, prendo il libro di Baricco e vado a sedermi sullo scalino del laboratorio al sole.
   Vi lascio qualche pagina del "In Silenzio tra gli Alberi", anzi quasi quasi lascio Baricco sul tavolo e vado a rileggermi ancora e ancora  il mio libro, così lo leggiamo insieme, ognuno nel proprio mondo, nella propria tana.
    Sono a pagina 64, capitolo Madre Terra Natura, racconto di questa Grande Mamma che ci ha accolto senza remore sulla sua terra, ci ha sfamato, allevato, insegnato. Ci ha insegnato il ruolo di figli, e ad un certo momento ci ha consigliato di essere padri, senza però dimenticare di esser stati ed essere ancora figli a nostra volta! ...leggiamo insieme...


    Questa grande Terra come la madre di tutti noi non chiede niente e tutto dà. Anzi lo mette totalmente a disposizione: dai colori di un tramonto, al legno degli alberi per scaldarci, da un brivido per un alito di vento, alla terra per coltivare e la carne degli animali, e l’acqua delle sorgenti, per mangiare e bere. Non chiede niente, solo dà.
 E così generosamente e incondizionatamente che a volte viene fraintesa. Così come le nostre madri fanno, e come noi genitori facciamo coi nostri figli. Non deve, questo offrirsi totalmente, imbarazzare, ma responsabilizzare. Ma certi figli, questo, ancora non l’hanno capito. E veramente  anche certe madri.
  I genitori come una grande Madre Terra.  Ecco, Lei non chiede niente in cambio, ma sottilmente ti fa capire che non vuole essere sfruttata fino all’osso. Perché finite le sue energie e risorse, sarà finita anche la Terra. E se finisce la Terra, finiamo anche noi. Perché tutto quello che c’è sulla Terra, è Terra.
    E’ così che questi figli dobbiamo amarli e rispettarli, come fossero Terra. Dobbiamo vederli senza guardarli, dobbiamo guidarli senza indicargli la strada. Possiamo essere noi la loro strada, se lo meritiamo. L’educazione parte da casa, da quello che si mangia, da quello che si dice, da come ci si veste, dai genitori e dal loro stile di vita. Anche loro di nascosto ci guardano.
    Ho visto genitori svuotare i posacenere dal finestrino dell’auto in corsa. E  buttare, non a caso, fazzolettini di carta, usati rigorosamente una sola piccola volta per spolverare le lenti degli occhiali, fuori, allo stesso modo. Tutto fuori. L’auto dentro linda come un gioiello, e fuori sporco come le loro deiezioni. Proprio il contrario di come sono loro. Fuori puliti, e schifosamente lerci dentro.
 E chi se frega pensano, dentro è mio, fuori è di tutti. Complimenti per la sensibilità, e soprattutto per la lungimiranza.
 Ma i bambini ci guardano, e imparano tutto senza distinzioni.
    Per esempio, le persone non fumano più nelle loro case, per non appestare le linde tende di lino, però furtivi e credendosi furbi cercano di farlo nei luoghi comuni, inondando i pavimenti interni ed esterni di mozziconi puzzolenti e sbavati.
    Vanno la domenica a fare i pic-nic con figli ed amici. A casa riempiono l’auto di ogni ben di dio, che sarebbe eccessivo anche se fosse un esercito, quello da sfamare. Confezioni di plastica e lattine, piene di ogni genere alimentare, tutto rigorosamente monouso, e preconfezionato tanto come la loro vita!
 Dal bicchiere allo stuzzicadenti, dal salame già affettato ed allineato come soldatini ubbidienti nel cellophane, al vino al metanolo in lattina. Tutto trattato allo stesso modo. Un sorso, un bicchiere, un morso al panino e una salvietta di carta. Tutto monouso. E poi tovagliette decorate, obbligatorio per il galateo campestre; posate e piatti colorati anche se il companatico è solo un panino plastificato, vasi e scatolette delle più svariate forme,  ridondanti di oli vari, che di semi non son neanche parenti.
 Comunque, lasciatemelo dire: evviva l’avventura!
 E tutto rimane lì, mezzo sbocconcellato (perché in realtà già sazi lo erano dalla prima colazione abbondante al bar dell’autostrada), o nel migliore dei casi nel cestino di legno per i turisti, già pieno a mezzogiorno per via del culmine dell’esercizio dello scartamento, stracolmo e debordante, in balia degli animali selvatici, che attendevano ansiosi dopo varie domeniche di pioggia l’arrivo dei turisti da pic-nic, e il conseguente avvelenamento da avanzi di cibi sintetici.
    Ma, nel peggiore dei casi, verranno abbandonati nei prati d’erba e nelle spiagge di sabbia, e così quelle immondizie, avanzi di uomini, sporcheranno la natura, e insieme i loro destini. E i figli guardano, ed imparano.
    Lo zaino che porto sempre in spalla è la mia pattumiera personale, quando non son a casa. Carte, resti di spuntini, torsoli di mela e bucce di banana, tutto finisce lì dentro. Se a volte mi arrotolo una sigaretta, quando è finita, getto il mozzicone dentro. Tutto va a finire lì dentro, insieme al libro che sto leggendo in quel momento, la borraccia del The Bàncha, e le mele. Qualcuno urlerà che gli faccio schifo. Pazienza, non ho mai obbligato nessuno a starmi vicino.
    E poi al ritorno a casa svuoto tutto. Non butto a terra niente, anzi spesso nei sentieri raccolgo quello che gli altri frequentatori della montagna, più o meno in sbaglio, lasciano cadere. Non voglio trovare nient’altro che natura, quando cerco la natura.
    Ripulisco la strada che faccio, anche se è degli altri. La tengo in ordine come fosse mia, anzi meglio. A casa mia faccio quel che nelle case degli altri mai mi permetterei. Questo io lo chiamo Rispetto. Questa è Libertà. E i miei figli mi guardano. Son piccole cose rispetto alle guerre mondiali e alle malattie mortali. Ma ho capito che anche le grandi case son fatte da piccoli mattoni, e che possono durare in eterno se costruite con coscienza ed onestà.

MaxSolinas-Arja-Rookje

MaxSolinas
Grazie Buon Sole MaxS

venerdì 13 aprile 2012

più di un pensiero da figlio, sui figli. QUESTA NON PERDETELA! e poi mi dite?

sabato 14     
Poche le cose tangibili nel tempo, ma le età dei propri figli e dei propri genitori lo sono.
     I figli! Pensi ai figli e, sia che tu li abbia, o che non li abbia, è come un colpo di scure, deciso e potente, nel delicato ed immenso  albero delle emozioni.
     E se pensi ai genitori, sia che tu li abbia ancora vicini, oppure che non ci siano più fisicamente, ancora  un colpo secco e profondo al cuore. Ma che meraviglia, pensarci!
    Pensare ai figli ti può in un attimo “annientare”, e un attimo dopo farti resuscitare. Ci pensi, e i pensieri possono ingigantirsi, o improvvisamente annullarsi. Che potenza, che forza, che diavoleria la loro presenza nella nostra vita, che è poi paradossalmente uguale al desiderio di averli.
    La cosa che mi suscita riflessione è che in ugual modo, che tu li abbia o non li abbia, tu comunque li proteggi, li coltivi, ne parli. Ed in ambedue i casi ne soffri. E l’unica cosa certa, sempre in ambedue i casi, loro ci sono.
    Questi figli che desideri, in certi attimi, come fossero di vitale importanza per la tua vita, e non resisti al loro richiamo. Ed in un attimo di “matto”, di pazzia d’amore per la vita, non pensi più a niente, e senza saper né leggere né scrivere  li fai.
     E son poi loro a riportarci a terra, a strapparci dai sogni, per regalarcene altri ancora più grandi.
    In un attimo ti fan diventare, volente o nolente, un dio. E grazie a loro, diventi improvvisamente terra, sole, acqua, aria, e loro semi e poi frutti da far crescere e maturare sull’albero della vita.
    E anche noi piccoli uomini, improvvisamente maturiamo, e cominciamo a vivere un’altra esistenza.
   Quando ci sono ti riempiono l’aria, ti emozionano, ti spaventano, ma poi con uno sguardo, un sorriso, una parola ti saziano.
    Sono l’anima dei pensieri, la colonna portante dei progetti per domani, il loro. E per un po’ tu li devi accompagnare, ognuno in modo diverso, senza guidare per loro, solo discretamente indicargli l’inizio del sentiero. 
   Per poi lasciarli andare, con la mano nascosta,  con le dita incrociate, e le guance  bagnate, sperando con tutto il cuore, di avergli indicato la via giusta, e  giurando in silenzio che si è pronti, anche subito, a barattare la propria vita con la loro.
    Ma la via, un metro dopo, si dipana in altre cento e più vie da scegliere, e loro saranno soli a dover scegliere. E allora solo gli esempi e gli insegnamenti silenti che avranno carpito dal nostro stile di vita potranno aiutarli e dargli man forte.
    I nostri movimenti, le nostre parole, le nostre attenzioni, saranno il nostro aiuto.    
    Questi figli, ancestrale desiderio umano, e naturale, che ci colpisce e non ci molla finché non lo accontentiamo. A quattordici, come a ottanta anni, uguale. Come un morbo ci perseguita e ci chiede insistentemente di procreare. Ma è la Natura, e prima o dopo sceglieremo di esaudirla.
    A volte il momento è giusto, è perfetto: amore, equilibrio, famiglia, e così il figlio arriva come una benedizione. Ma a volte la situazione non è certo delle più confortevoli: precarietà, indecisione nel rapporto, poca disponibilità, insicurezza. E lui arriva  lo stesso, in barba a tutto e a tutti lui arriva.
    E quando lo vedi, quando lo hai davanti veramente per la prima volta, dubbi, paure, tutto si scioglie come neve di primavera al sole, e Lui diventa in quel momento tuo figlio.
    Loro sono una parte di te stesso, ma con la loro personale identità ed indipendenza. I figli sono quella esperienza,  quell’emozione che nessuna parola può e potrà mai spiegare. L’unica cosa da fareè tacere, e agire.
    Ed è incredibile poi essere padri e figli allo stesso momento. Ruoli diversi, impegni diversi, emozione e amore diversi. Gestione dei rapporti, tutto completamente diverso. E non mi stancherò mai di dirlo che una grande guida mi ha sempre accompagnato ed aiutato in queste delicate relazioni: la Natura come Dio, ancora  e sempre, fortemente presente.
   E la natura, non solo di alberi e boschi, mari e animali, ma la Natura come Terra, come Madre Terra. In certi momenti sono un figlio che impara dalla madre terra. In altri divento io la madre terra che dà ai suoi figli.
   Che fatica tradurre in parole questi sentimenti. Queste delicatezze sembrano perdere credito e nobiltà, parlandone. Ma io ho bisogno di esternarle, e  in qualsiasi modo di tirarle fuori. Voglio vuotare il sacco, per far posto ad altre e nuove cose.

 ... oggi ho imparato a volare, è facile anche tu potrai imparare, ti devi solo un poco concentrare, e devi scegliere dove vuoi andare, e se bene sceglierai allora potrai volare e se non ti disperderai allora potrai tornare.Oggi ho imparato a volare e non me ne voglio più dimenticare ... E. Finardi.   

MaxSolinas-Lupo
Sento il cuculo che canta, ora esco e vado nel bosco a cantare anche io alla vita. fatelo anche voi . Max

mercoledì 11 aprile 2012

MADRE TERRA NATURA

giovedi 12  ...continua...


        E ancora in viaggio, in silenzio, in bilico tra credere  presuntuosamente  di aver  imparato qualcosa, e immediatamente dopo capire di non   sapere quasi niente.
      Sperare di aver conquistato qualcosa, per poi accorgersi che dietro ogni piccola conquista c’è un mare infinito di conquiste ancora da fare.
     Nell'incertezza, tra la soddisfazione di non essere mai completamente soddisfatto, e l’insoddisfazione quasi fosse un raggiungimento nella vita per poi capire che  invece è un traguardo da poco.  
     Vivere l’intera giornata dall’alba fino a quando gli occhi si spengono e le membra non si sostengono.
     Farlo come se ogni giorno fosse l’ultimo e come se il domani fosse incerto o nullo.  E aprire gli occhi la mattina, e ripartire ogni giorno da capo senza ansie, afflizioni, sfide o obiettivi troppo presuntuosi e severi, ma sentire intimamente e profondamente che ogni giorno è ripartire.
   Alzarsi la mattina e dopo ore, poche, di incoscienza notturna funestata da sogni ed apparizioni inconsistenti, aprire gli occhi, accendere il cervello e come messaggio di benvenuto, ogni mattina avere  un pensiero che mi ricorda che sono figlio da oltre quaranta anni, e padre da oltre diciotto.    ...continua...


Il sole oggi finalmente è tornato ad illuminare questa nuova alba. Il prato perfettamente verde e vigoroso come un ragazzotto di 20 anni è rorido di acqua di pioggia notturna. Il freddo pungente intirizzisce la pelle delle braccia nude, ed io mi sento presente e vivo!
Oggi mi sento libero e leggero. E' lontana e ormai dimenticata la gara al successo e al dominio di me stesso. Il ruscello corre lento ed inesorabile, ed io non metto più sassi ed ansie al suo corso.
A volte, certo questo mi disorienta, ma ho la bussola sempre in tasca, ed il suo ago è sensibile e svelto a ritrovare il magnetismo che riequilibra.
MaxSolinas-Half Dome
Continuo a vivere il presente ed il sole ancor più deciso, oggi mi sorprende ancora una volta come fosse la prima, dopo 48 anni ... Buona giornata MaxS

lunedì 9 aprile 2012

LA VITA E' UN UNICO GESTO, SOLO MOLTO LUNGO.


martedi 10   SE CI SEI BATTI UN COLPO. ADESSO E' IL MOMENTO. ORA O MAI PIU'. NON RIESCO PIU' AD ASPETTARE.    
E' così che un giorno d'improvviso capii. Ciò che mi faceva sentire vivo era qualcosa che lentamente era destinato ad ammazzarmi: i figli per i genitori, il successo per gli artisti, le montagne troppo pericolose e alte per gli alpinisti. E così mi ritrovai solo e depresso, e con nessuno con cui parlarne.

....continua...  Quando vivevo a Belluno, fino a qualche tempo fa, frequentavo sporadicamente Giorgio, uomo quarantenne, cieco completo fin dalla nascita. Feci la sua conoscenza un giorno, in passeggiata con i cavalli dell’amico Giuseppe di Rapallo, tra i boschi intorno a Belluno. Notai subito questo tipo, occhiali neri inforcati sul naso, cavalcava e parlava velocemente, conquistando tutti i partecipanti alla gita equestre. Rideva ad alta voce,  e notai che le sue labbra accentuavano esageratamente i suoni vocali. Mi colpì così tanto che appena potei mi avvicinai con il cavallo e con una battuta qualsiasi, mi presentai, e cominciammo a parlare affiancati.
Ancora non avevo capito che non ci vedeva. Ma avevo notato che, passando in certi tratti, nel bosco fitto, sotto gli alberi, non si preoccupava minimamente di schivare i rami bassi, prendendosi   in faccia non proprio dolci carezze. Pensai che parlava troppo e che questo lo distraeva da quel che faceva. Non sarebbe stato, un buon compagno di cordata, dissi tra me e me! Troppo distratto.
Mi resi conto della situazione solo quando, all’ennesima sonora frustata di un ramo impertinente, Giorgio schernendosi disse alzando la mano destra a mo’ di spada sfoderando tre dita: “Tre son le cose, o i rami si scostano quando passo, ma non son di certo Dio, o il cavallo mi avvisa in tempo dell’ostacolo, ma non parla, o la prossima volta è meglio che mi metta un buon  casco su sta testa matta! “.
 Cavolo. Giorgio non ci vedeva niente! Ed ero io il quarto “o” che avrebbe dovuto avvisarlo degli ostacoli. Che figura!
Non avevo ancora capito che dietro quelle lenti nere c’erano occhi che non vedevano, ma che nel suo cuore e nel suo cervello c’era una spiccata, sviluppata ed intelligente ironia e voglia di non farsi mancare niente, che lo faceva andare oltre gli ostacoli. E credo che dovremmo imparare anche noi da queste semplici lezioni che la vita e le persone meno fortunate ci danno.
Mi viene in mente un altro aneddoto riguardo Giorgio di Belluno. Una tarda notte, reduce di abbeveraggi protratti ad oltranza nelle osterie del bellunese, andavo con l’amico Mirco di Tassei in macchina da Valmorel  verso Belluno. Dieci chilometri di strada in discesa, ripida e nera come l’asfalto che la ricopre. Forse erano le due o le tre di notte,  ricordo bene che non c’era neanche un sottile spicchio di luna a riaccompagnarci a casa dalle nostre scorribande spavalde. I due fari dell’auto,  fievoli come le nostre viste annebbiate dalle ombre, cercavano di fendere la cortina nera delle tenebre e farsi strada alla meglio, in direzione casa, senza più fermate. Procedevamo giudiziosi poco più che a passo d’uomo. Dietro l’ennesima curva vedo improvvisamente due persone camminare diligentemente a falcate vigorose, lungo il bordo della strada. Ma ancora più vigorosamente, uno dei due, il più magro, parlava con quell’ altro, agitando la mano non occupata dal bastone fine e bianco. Giorgio ed un suo amico! Mi ricordavano Gianni e Pinotto, più per l’atteggiamento che per l’aspetto.
Ambedue muniti di occhiale nero da sole  e bastone bianco nella mano destra, usato da sonda. Rallento, mi accosto…”Ciao Giorgio, dove state andando? Ti do un passaggio, è tardi e buio…”
Risposta: “ Grazie Max”, (riconosceva dalla prima vocale, con assoluta precisione, la persona  e relativo nome), “ma non abbiamo fretta, preferiamo camminare, così digeriamo, e per quanto riguarda il buio, non è un problema, abbiamo la torcia!“. E con quello alzò il bastone verso l’alto, mimando il gesto d’illuminare, e ridendo, e ancora ridendo più forte, a metterci alla berlina e schernirsi, riprese a camminare, e soprattutto a parlare. E sarei curioso di sapere di cosa parlavano.
 E poi sapeva cantare e suonare la chitarra, anche quella di Giuseppe, al maneggio, con tre corde in tutto. E viveva da solo, si faceva da mangiare ed era amico di tutti.
 Gli occhi di Giorgio sentivano cose che i nostri possono solo vedere.
Il mondo è pieno di persone che non vedono neanche con gli occhi abilitati a farlo.
Mi piacciono le mani che raccontano quello che hai fatto fino a quel momento. Ne vedo con rughe profonde come seracchi, palmi con più calli che dita, duri da incidere anche con uno scalpello affilato, con dita grosse come cetrioli. E di contro dita lunghe e ben tornite, agghindate da unghie maniacalmente  curate, con il bordo esterno,  colorato di bianco, chiamate french,  o con disegni e scritte tipo tatuaggi. Certe addirittura con anelli, come orecchini, che sulle unghie come si chiameranno: unghini? Scherzo. Son il contrario delle unghie bordate di nero dell’olio bruciato, di certi meccanici all’antica, che “operano” ancora senza guanti.
E poi vedo mani che già a colpo d’occhio capisci che le dita non ci son tutte: due sì e una no, tre sì e due no, in combinazioni ridicole ed imbarazzanti, ma che comunque san fare ancora il proprio lavoro, sulle macchine infernali delle falegnamerie.
Altre che a volte non san nemmeno scrivere il proprio nome, ma che sanno costruire case per vivere, curare prati e boschi, e protendersi generose verso chi ha bisogno d’aiuto.
E raramente ho visto mani consumate, raggrinzite, mutilate, essere nascoste. Al contrario le vedo spavalde, coraggiose, fiere e forti, quando le stringo nei saluti. E queste mi piacciono, e le apprezzo più di altre.
Ma, contrariamente a certi criticoni, non sottovaluto quelle mani che proprio al primo incontro, alla stretta di mano di rito, son sfuggenti e fragili, lisce e a volte sudaticce, con unghie ben tagliate bianche e fragili come la neve. Sono mani che non hanno mai stretto martelli e vanghe o rastrelli ed altri attrezzi, e tanto meno han toccato terra, alberi o roccia. Son rimaste linde ed immacolate come appena nate.
Ma niente male, hanno solo scelto ed intrapreso strade diverse, che non le han rese ruvide e nodose. Ma forse, sebbene non si vedano, le grinze, i calli  e le vesciche per il lavoro le hanno fatte nel cervello, a forza di farlo lavorare. E abbiam bisogno del loro lavoro.
Mi affascinano anche queste persone che con il cervello ci lavorano. Lo usano, lo spingono, lo sforzano, lo sfruttano, allenandolo, e facendolo lavorare onorevolmente. E usando il cervello,  studiano soluzioni per aiutarci a risolvere problemi legati alle malattie, alla natura. Per migliorare la qualità della nostra vita, e  studiare e trovare nuovi metodi più evoluti e moderni per non sfruttare fino all’osso la Terra, e risolvere i problemi che gli abbiamo creato.
Con il cervello, usato in maniera lungimirante, si possono trovare soluzioni diplomatiche, per evitare di aver nuove guerre e per risolvere quelle che dopo decenni ancora continuano. Affinché le genti ed i popoli non debbano più uccidersi per un metro di terra in più, magari di deserto, o solo perché si prega un Dio con un nome diverso.
Con il cervello si può imparare a capire, e a capirsi un po’ di più. Si possono studiare sistemi e tecniche affinché tutti gli abitanti del mondo possano avere almeno un pasto al giorno, e acqua, bene diventato più prezioso dell’oro e importante come il sole e l’aria per continuare a vivere. Trovare soluzioni di modo che la nostra amata Terra possa durare nei secoli ancora, il più integra possibile, almeno come ce l’hanno lasciata i nostri nonni, e consegnarla ai posteri, e ai nostri figli, e i figli dei nostri figli e affinché possano goderne. E così per gli animali, e alberi, mari, oceani e montagne.
Ecco perché mi affascinano anche le persone con le mani nuove ed impeccabili, spesso scherno stupido e superficiale di certe persone. Quelle mani appartengono spesso a esseri umani che usano molto il cervello, e a cui non rimane tempo di usare le mani. Poco male, c’è chi facendo il contrario rimette in equilibrio i piatti della bilancia.
Le mani, che mistero: l’uso, ma anche l’inoperosità.
Guardo le dita della mia mano destra stringer la penna trasparente che scorre veloce senza titubanze su questo foglio bianco quadrettato. Più il foglio si colora e più il refill si svuota.     
Forse muove il cervello più mondo che le mani? A voi una risposta, anzi le risposte.
Le guardo, e ancora pensieri e riflessioni mi incendiano il cervello. Ma allora anche il mio funziona…e sì che l’aspetto delle mie mani non lo dimostra.

Le mie mani sono Io,
                               vissute,
usate,
sporche,
ferite,
guarite,
riferite,
cicatrici,
volgari,
abitudine,
odore,
armi,
carezze,
ricerca,
sesso,
amore,
amare,
Le mani che sanno.
Le mie mani sono Io.


                       MaxSolinas 05





giovedì 5 aprile 2012

LE MIE MANI SONO IO, VISSUTE, USATE SPORCHE FERITE GUARITE RIFERITE CICATRICI VOLGARI ABITUDINE ODORE ARMI CAREZZE SESSO AMORE AMARE...LE MANI CHE SANNO...LE MIE MANI SONO IO.



giovedi 5    ... continua.. pag 52 "In Silenzio tra gli Alberi" 

Tutto, o quasi tutto, quel che facciamo ha per complice le mani. Dieci dita che sanno muoversi indipendentemente l’una dall’altra. Un palmo che può all’occorrenza diventare una perfetta scodella da cui dissetarsi, e ancora più facilmente avvinghiandosi e stringendo a sé le dita, diventano armi micidiali. Ma che, aprendolo senza timori, lasciano leggere la nostra vita passata, e forse anche futura. Ma che sicuramente ci lasciano perdere nel fantasticarla nella lunghezza e nella profondità dei solchi, e seguendola fino a vedere la morte.
E poi le mani hanno un dritto ed un rovescio che sono completamente diversi. Con il dritto si fa tutto, e con il rovescio? A me sembra che stia lì a proteggere e coprire il dritto. E insieme le dita unite al palmo possono fare tutto quello che san fare, e tutto quello che impareranno e inventeranno.
E’ bello, guardandole, pensare a tutto quel che abbiamo fatto e toccato con le mani. Dalla carezza più estrema al gesto più sfacciato e violento. Tocca cose irripetibili perché vietate, e poi le cose sporche e raccapriccianti. Ma anche perlustra superfici dolci, calde e trepidanti di vita, fino ad addormentarsi sfiniti.
Ci sono persone a cui la vita non ha donato l’uso degli occhi, o gli è stato tolto accidentalmente. Le mani, per loro, son diventate gli occhi. Fenomenale! Le mani sono anche trasformiste. Hanno, in questo caso, acquisito la vista. E il cervello si è adattato a tradurre gli impulsi del tatto, trasformandoli in informazioni visive. Geniali, gli esseri viventi. Con le mani leggono, scrivono, così come chi possiede la vista. Scrutano e palpano i passi a venire, dal basso all’alto, a volte con un bastone vibratile, fine e bianco. Sondano, studiano e scelgono la strada migliore per il loro passo, non tanto diversamente da noi, ma con le mani.
Nutro profonda ammirazione per loro. Quando li incontro per strada mi soffermo affascinato a guardare con che classe ed attenzione, e precisione si muovono in città, in un terreno difficile che può essere mortale.
   Per le mani non esiste il giorno o la notte. A differenza degli occhi non hanno     bisogno della luce per vedere.    ...continua...   




MaxSolinas


MaxSolinas-Nemo
























martedì 3 aprile 2012

LE MIE MANI SONO IO.

mercoledi 4 ...continua...  CAPITOLO 7  - LE MANI -

Le campane battono sette rintocchi. Il lungo ed appuntito campanile del paese canta una dolce,  severa melodia. 
   Il campanile fa parte della chiesa della piazza, ed è stato consacrato nel 1746, da Lorenzo da Ponte, come mi informa il leggendario barbiere Alfonso, lo storico del paese. 
   Da quasi trecento anni, tra svariate e conosciute vicissitudini, il campanile di Cison di Valmarino,  ridente paese adagiato alle pendici delle Prealpi Trevigiane, scandisce con la sua personale musica il passare del tempo.
    Per fortuna non è un disco registrato a farlo. Ma non sono nemmeno le mani allenate e saccenti del campanaro, figura mitica ed antica come le campane stesse. Le campane, oggetti di forme e dimensioni sempre diverse modellate a mano, e fuse nella terra con parametri e dimensioni millimetriche. E infine fuse  con il bronzo, materiale prezioso e nobile quasi come l’oro.
     A Cison di Valmarino, paese in cui vivo da qualche anno, vengono suonate da un dispositivo elettrico, che, preimpostato ad una data ora, aziona una leva che fa battere il batocchio dentro la campana. Sempre meglio di uno stupido e sterile disco registrato.
     Sette rintocchi. Ancora un’altra giornata da vivere. Con l’esperienza acquisita fin d’ora, con cose nuove da vivere, e qualcuna da mettere e conservare nel paniere riservato a quelle importanti. E sono tante.
    E’ un fatto: scrivendo e  lavorando con le mani è immancabile guardarle continuamente muoversi. Bizzarro come stavolta mi colpisca più del solito la loro visione. Affascinante come impugnano la penna e come la facciano muovere. Un automatismo che sembra quasi incondizionato. In realtà c’è il meraviglioso mondo del cervello, con tutte le informazioni individuali che possiede, diverse per ogni persona.
     E’ il cervello che muove le mani. Le mani sono il mezzo, la macchina per eseguire quello che la mente decide e comanda. Spettacolare l’uso delle mani. Il cervello usa le usa per ottemperare a gran parte dei propri bisogni. Le mani, senza cervello, resterebbero immobili. Ma anche il cervello senza mani poco farebbe.
   Il cervello non si vede. E’ così delicato da dover star chiuso e riparato in una scatola ossea di svariati millimetri di spessore, di forma ovale, fatto di otto ossa piatte ed arcuate, saldate tra loro da suture.
    E lui è immobile, o quasi, lì dentro protetto più di un re nella sua fortezza inespugnabile. A guardarlo dal vero, ad essere sinceri, non ha un grande aspetto.
    Le mani, invece, sono la prima cosa che vedi e che noti in una persona. La forma, le dimensioni, la cura. E poi i movimenti, la postura. Che spettacolo vederle muovere, in qualsiasi cosa facciano, o tocchino c’è movimento, fascino, vibrazione, emozione. Ma anche ferme, immobili, inanimate appoggiate ad un bracciolo, o sulle gambe conserte in attesa di ordini, dimostrano bellezza.

     Voglio dedicargli un po’ di parole, a questa parte di corpo, che è il prolungamento più diretto del cervello.     ... continua..
MaxSolinas

MaxSolinas
Il verde del prato bramoso di acqua dal cielo mi sorride entrando dai vetri della finestra. la poca luce di quest'ora mi dice che il cielo è nuvoloso e minaccia pioggia. C'è silenzio stamane nel bosco. Solo qualche innocente piccolo di merlo chiama freneticamente la mamma. Sembra spaventato. Ieri sera ho sentito per la prima volta dell'anno il cuculo cantare. Quasi un mese di anticipo.
  Arja la Lupa è già fuori sul tavolo a controllare il suo territorio, Rookje è disteso a terra sotto i miei piedi. Gli brontola la pancia, ha fame.
  Tutto è in sospensione. Il mondo in attesa di qualcosa che è pronto e sta per manifestarsi. A breve la pioggia farà ingresso nel palcoscenico pronto da mesi per lei.n Tutto è pronto, gli astanti in silenzio fremono e a bocca aperta si pregustano il rumore, l'odore, il vento e l'umidità che Lei porta entrando in scena. 
  Son mesi che aspettiamo l'acqua dal cielo. Ora il bisogno è grande ed emergente. Tutto è secco e polveroso, le vene profonde d'acqua quasi esaurite, e nessun nevaio a monte per rimpinguarle. Ora solo lei può tamponare questa siccità diffusa, e ridare un tono alla primavera che già si manifesta di colori e forme, ma ancor castrata da poca acqua. 
  Anche questa volta mi ritrovo a scrivere di Natura e Presente, anche se mi ero ripromesso di parlare di politica, crisi, mondanità e televisione. Ma proprio fatico a farlo. Forse per la mia innata propensione selvatica, o forse perchè la mia tana è naturale, e fuori dalla finestra c'è semplice natura che mi travia e mi consiglia di parlare di Lei, e di prendere la vita nel modo più semplice che posso. 
   E questo è il mio modo! Questo è quello che so fare con facilità, senza forzature e bugie. Questo è ciò che so dire e trasmettere, senza salvacondotti e parole di doppio senso. Questo è tutto, e non è poco, ciò che la vita nella natura mi ha insegnato, e che mi promette di insegnarmi ancora.
          Grazie e Buona Vita è il mio motto sincero a voi tutti. MaxSolinas
  
  



domenica 1 aprile 2012

OGGI HO VOGLIA DI SCALARE...

lunedi 2.   ... continua da pag 47


Oggi ho voglia di scalare. Ho in fondo al giardino un muro di sassi e prese. Lo definisco il muro della preghiera. Forse perché aborro la parola allenamento. Infatti vado in fondo al giardino, nel mio muro di sassi, per pregare. Invece di fare yoga o di danzare con posizioni funamboliche di  Qi Gong o Tai Chi, che per altro mi affascinano, avendolo scoperto in Cina, ma che trovo lontano dalla mia cultura. Preferisco ritrovare me stesso, con i miei equilibri, sortendo gli stessi risultati, o credo, appendendomi e muovendomi con naturalezza e lentezza da bradipo. E per mezzora, a volte anche più, mi attacco alla parete, passando lentamente da un appiglio all’altro, alla ricerca dell’equilibrio perfetto, non forzato. Mano destra piede sinistro, mano sinistra piede destro. Tre metri in su, tre in giù, e poi in traverso a scendere, per poi uguale a salire. Cinquanta e più prese, ed altrettanto appoggi. Le mani che le stringono con la giusta tensione, né poco, né troppo, il giusto per non sprecare energie, ma anche per non cadere. Piedi che appoggiano, spingono, tirano, si torcono a sentire l’appoggio. A volte un centimetro a destra, o a sinistra, fan la differenza per riequilibrare un corpo appeso di settanta chili, senza sforzo. Così puoi continuare in questa vigorosa e silenziosa danza, sulle dita di mani e piedi, con la roccia a portata di bacio, che misura il tuo respiro attraverso il fiato tanto gli sei vicino. Per interminabili minuti di poesia e amore. Tu e la parete che all’inizio non ti vuole, ma che in breve ti accetta, ti ama perché ti sente rispettoso, e sente che non la stai sfidando, tuttaltro, la stai amando. Così come per la vita, non è una sfida, è un camminare in un terreno incerto e a volte difficile ed ostile. Bisogna avanzare sicuri, ma guardinghi, pronti a deviare se serve. Come in roccia, basta a volte spostarsi di poco, per vedere altre soluzioni da prospettive diverse.
L’esempio dell’alpinista in montagna calza a pennello. La via di salita va studiata da distante, col cannocchiale, dal basso. Va memorizzata e imparata a memoria, scritta ad appunti su un quaderno. Solo a quel punto ci si potrà attaccare alla parete, conoscendola metro per metro, passaggio per passaggio. E quando saremo a tu per tu con lei, a pochi centimetri di distanza, ci chiederà severa il conto della nostra preparazione, per capire se siamo degni di salirla. E sarà disarmante accorgerci che a volte tanti progetti e preparazione non  bastano, perché sul campo le cose possono cambiare, anzi almeno di un po’, cambiano sempre. E dovremo essere bravi a cambiare rotta, ad aggiustare il tiro, e magari a malincuore tornare sui nostri passi.
E allora, istinto, intuizione e attenzione saranno fondamentali per risolvere i problemi, e cavarsela. Così in montagna, come negli immensi oceani, nelle profondità dei mari, nei deserti,  così come per primo nella Vita. La stessa cosa. Son sicuro che vado in montagna, nei boschi e nelle profondità dei mari, allo stesso modo in cui vivo e sto con le persone. Scrivo e faccio scultura nella stessa identica maniera con cui affronto la vita. Credo, e spero, questa sia onestà. Onestà verso se stessi, vuol dire verso gli altri. E cerco di rendermi la vita semplice, e allo stesso modo cerco di rendere semplice anche quello che dico, a me e agli altri. Tutto è semplice, e se non lo è, è perché noi lo abbiamo complicato. Si può fare tutto. Niente o quasi è irraggiungibile. Il bar si raggiunge più facilmente che la cima di una montagna, in inverno così come in estate. Ma son sicuro che possiamo arrivare dappertutto, se si vuole, con  seria preparazione. Il primo uomo che è andato sulla luna non credo abbia improvvisato il viaggio. Tutti i grandi raggiungimenti necessitano di una vita di preparazione, dedizione ed impegno massimo. Ma la televisione ci dice che si può avere tutto con facilità. Falsi insegnamenti. E questo mi fa arrabbiare, peggio, mi delude. Ma le persone intelligenti non cascano in questi trabocchetti, non si fanno imbrogliare facilmente, e hanno imparato e sanno come trattare la televisione. Cosa sentire, e cosa vedere, e ancor di più, quando è il momento di spegnerla.
     Le persone umili hanno la cartina di tornasole che funziona, e la usano con santa ragione!
 La vita è il mio grande raggiungimento. E voglio onorarla impegnandomi a viverla con dedizione, ma mai con caparbietà. Massima serietà per arrivare ogni giorno un metro più in là. Come disse Fernando Pessoa: “Massimo impegno in tutto”.
 Con semplicità viverla e con semplicità raccontarla, così come ha fatto con me qualcuno in qualche raro momento, ascoltando,  raccontandomi i problemi ed aiutandomi a spianarli, senza parlarne con enfasi e senza ingigantirli.
Le persone intelligenti non hanno bisogno di complicare il semplice. E non hanno bisogno di far vedere agli altri, con distacco, che quel che fanno è importante e difficile e sono impegnati in ben altre cose.
Mai come oggi il mondo ed i suoi uomini, avrebbero bisogno di maestri silenziosi, e mai come oggi ce ne sono proprio pochi. O forse rimangono celati.
Ed io, intanto, parlo, parlo e parlo, cercando di svuotarmi del conosciuto, per riempirmi di linfa nuova.

MaxSolinas

Ma adesso basta parlare. E’ ora di andare  fuori in laboratorio. Le mie mani desiderano muoversi sul legno e battere con la mazzetta sullo scalpello. E poi voglio finire la scultura di Marco!

MaxSolinas-Alberto


   “ La semplicità non è il fine delle cose,
                                                       o dell’arte,
                            ma ci si arriva nostro malgrado avvicinandosi
                                              al senso reale delle cose “   
                                                                                Parola di MaxSolinas